Motori endotermici oltre il 2035, l’UE concede più flessibilità ai furgoni

La Commissione Europea ha annunciato una revisione significativa delle regole sulle emissioni dei veicoli, segnando una svolta rispetto alla normativa finora considerata intoccabile del Green Deal europeo. In risposta alle pressioni dell’industria automobilistica e di alcuni Stati membri, il quartier generale dell’esecutivo Ue ha presentato un pacchetto legislativo che abbandona il divieto totale di vendita di nuove auto a motore endotermico a partire dal 2035, sostituendolo con un sistema di obiettivi di riduzione delle emissioni più flessibile.

Addio al limite del 100%

La normativa vigente – sancita nel 2023 nel quadro del regolamento sugli standard di emissione CO2 per nuove automobili e veicoli commerciali leggeri – prevedeva che a partire dal 1º gennaio 2035 il nuovo parco auto dell’UE dovesse raggiungere una riduzione del 100% delle emissioni di CO2 rispetto ai livelli del 2021, di fatto impedendo l’immatricolazione di auto e furgoni diesel o benzina tradizionali.

Con la revisione annunciata a dicembre 2025, tale obiettivo è stato rifissato al 90%: i costruttori avranno cioè l’obbligo di ridurre le emissioni medie di CO2 del 90% rispetto al 2021 per la loro flotta di nuove vetture entro il 2035, ma il restante 10% potrà essere “compensato” attraverso misure come l’impiego di acciaio a basse emissioni di carbonio, biocarburanti avanzati o carburanti sintetici (e-fuels) – garantendo così che almeno teoricamente si potrà continuare la vendita di veicoli con motore endotermico.

Cosa cambia per i veicoli commerciali

Il nuovo pacchetto normativo non riguarda solo le auto. La Commissione ha riconosciuto le specificità di furgoni e veicoli pesanti, settori in cui le sfide tecnologiche e infrastrutturali per l’elettrificazione sono più pronunciate. Secondo proposte e comunicazioni interne, gli standard di emissione per i furgoni saranno modulati con obiettivi più graduali già per il 2030, riducendo la severità dei target rispetto ai piani precedenti. Tuttavia, la portata normativa definitiva è ancora in fase di definizione tra Parlamento e Consiglio Europeo. Inoltre, per quanto riguarda l’obiettivo 2030 per le autovetture e i furgoni, è introdotta un’ulteriore flessibilità consentendo l’indebitamento bancario per il periodo 2030-2032.

I numeri dietro la transizione

Il comparto dei trasporti su strada rappresenta una quota significativa delle emissioni totali dell’UE: studi indipendenti indicano che il trasporto stradale contribuisce per oltre il 20% alle emissioni complessive di CO2 nell’Unione, con una crescita dovuta soprattutto ai veicoli leggeri e ai trasporti a lunga distanza.

Gli obiettivi intermedi fissati per il 2030 nella normativa precedente richiedevano ai produttori di raggiungere una riduzione delle emissioni di CO2 del 50% per i veicoli commerciali leggeri rispetto ai livelli 2021. Anche questi target sono ora oggetto di revisione, con possibilità di ammortizzare le performance su più anni per dare margine operativo all’industria.

Reazioni politiche ed economiche

La revisione ha suscitato reazioni contrastanti. Le associazioni industriali e diversi Governi nazionali (in particolare Germania e Italia) hanno accolto con favore la maggiore neutralità tecnologica, sottolineando che l’industria europea deve restare competitiva in un mercato globale dove i produttori cinesi e americani di veicoli a batteria impongono ritmi serrati.

Dall’altra parte, gruppi ambientalisti e parte del Parlamento Europeo hanno criticato la mossa come un possibile indebolimento delle ambizioni climatiche dell’UE, con il rischio di rallentare l’adozione dei veicoli a zero emissioni.

La strada da qui al 2050

Nonostante il dietrofront sui termini tecnici del divieto, la Commissione ha insistito sul fatto che la transizione verso una mobilità a basse emissioni rimane un pilastro strategico della politica climatica europea, coerente con l’obiettivo di neutralità climatica entro il 2050 del Green Deal. Il nuovo approccio mira a “conciliare ambizione e pragmatismo”, accompagnando l’industria verso tecnologie pulite, ma senza imporre divieti assoluti che, secondo Bruxelles, potrebbero derivare in costi e tensioni sociali indesiderati.